mercoledì 10 marzo 2010

I crostacei degli ambienti salmastri

I Crostacei popolano gli estuari con numerose e diversificate forme. Purtroppo, molte di esse sono difficilmente reperibili sul mercato acquariofilo, o addirittura del tutto sconosciute.

Animali come Copepodi, Cirripedi, Isopodi, Anfipodi, infatti, sono si numerosissimi nelle ricche acque estuariali (dove forniscono un apporto fondamentale all’equilibrio complessivo del sistema) però di impossibile reperibilità, in quanto crostacei di piccole o piccolissime dimensioni e di attrattiva alquanto modesta. Hanno qualche opportunità in più coloro che si cimentano con un acquario salmastro nostrano, in quanto raccogliendo personalmente gli ospiti della vasca potranno imbattersi

anche in qualche rappresentante di questi gruppi “minori” (ripeto, non per importanza).

Pseudodiaptomus forbesi, un copepode degli estuari del Pacifico



Balanus improvisus, un cirripede di acqua salmastra presente anche negli estuari del Mediterraneo


Gammarus tigrinus, un anfipode di acqua salmastra originario del nord America ma ora presente anche in Europa


giovedì 28 gennaio 2010

I pesci per un acquario salmastro (in continuo aggiornamento)

Ecco una sintetica carrellata delle principali famiglie di pesci presenti negli ambienti salmastri e allevabili in acquario, almeno potenzialmente. Sono elencate sia le famiglie/specie adatte ad un acquario tropicale, che quelle adatte ad un acquario temperato.

Achiridi (Achirus achirus, Trinectes maculatus);


Acipenseridi (diverse specie di storione, delle quali solo alcune allevabili in acquari di grosse dimensioni);


Anguillidi (anguilla europea, Anguilla anguilla, e anguilla americana, Anguilla rostrata);


Afanidi
(killi d’acqua salmastra; Aphanius apodus, A. dispar, A. fasciatus, A. sirhani);


Apogonidi (pesci cardinale; Sphaeramia nematoptera e S. orbicularis, Apogon taeniatus);


Ariidi (Arius spp.);


Batrachoididi (Halophryne diemensis);


Centropomidi (pesce di vetro, Parambassis ranga);


Ciclidi (Etroplus maculatus, Pelvicachromis pulcher, tilapie);


Ciprinidi (ido dorato, Leuciscus idus);


Dasiatidi (razza d’acqua salmastra, Hymantura uarnak);


Efippidi (pesce pipistrello, Platax orbicularis);


Eleotridi
(Batanga lebretonis, Butis amboinensis, B. butis, Oxyeleotris marmorata);


Fundulidi (Fundulus zebrinus);


Gasterosteidi (spinarello, Gasterosteus aculeatus, spinarello nero, Pungitius pungitius);


Gobidi (ghiozzi; Awaous flavus, Brachygobius spp., Stigmatogobius sadanundio);


Hemiramphidi (Dermogenys pusillus);


Letrinidi (Lethrinus nebulosus);


Luzianidi (Macolor niger);


Mastacembelidi (Macrognathus aculeatus, Mastacembelus spp.);


Monodattilidi (Monodactylus argenteus, M. sebae);


Mugilidi (cefalo comune, Mugil cephalus);


Murenidi (murena d’acqua salmastra, Gimnothorax tile);


Nandidi (Nandus nebulosus);


Pecilidi (Poecilia latipinna, P. velifera);


Plotosidi (Plotosus lineatus);


Pomacentridi (Neopomacentrus taeniurus);


Scatofagidi (Scatophagus argus, Selenotoca multifasciata);


Serranidi (spigola, Dicentrarchus labrax);


Soleidi (Brachirus harmandi);


Singnatidi (Microphis brachyurus; soprattutto individui giovani, gli adulti preferiscono le acque dolci, Enneacampus ansorgii);


Sparidi (sarago comune, Diplodus vulgaris; generalmente esemplari giovani);


Telmaterinidi (Marosatherina ladigesi);


Terapontidi (Terapon jarbua);


Tetraodontidi (Tetraodon biocellatus, T. erythrotaenia, T. nigroviridis);


Tetrarogidi (Neovespicula depressifrons);


Toxotidi (Toxotes jaculator).



BIBLIOGRAFIA


Anonimo: Microphys brachyurus, "Il mio Acquario" n.ro 90, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), marzo 2006, p. 4


Anonimo: Neovespicula depressifrons, "Il mio Acquario" n.ro 92, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), maggio 2006, p. 4


Anonimo: Pungitius pungitius, "Il mio Acquario" n.ro 102, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), marzo 2007, p. 4


Anonimo: Awaous flavus, "Il mio Acquario" n.ro 103, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), aprile 2007, p.3


Anonimo: Luzianidi e Letrinidi, "Il mio Acquario" n.ro 106, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), luglio 2007, inserto centrale


De Luca, E.: Il salmastro, una sfida molto stimolante, "Il mio Acquario" n.ro 11, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), gennaio 2006, p. 48


Di Tizio, L.: Aphanius & C., i killi del Mediterraneo, "Il mio Acquario" n.ro 88, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), agosto 1999, p.12


Mancini, A.: Razze d'acqua dolce e salmastra, "Il mio Acquario" n.ro 91, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), aprile 2006, p. 54


Parisse, G.: Pesci palla, amati da tutti ma riservati a pochi, "Il mio Acquario" n.ro 81, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (mi), giugno 2005, p. 20


Parisse, G.: Ghiozzi (& C.) d'acqua dolce e salmastra, "Il mio Acquario" n.ro 94, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio, luglio 2006, p. 20


Parisse, G.: , Sogliole d'acqua dolce e salmastra, "Il mio Acquario" n.ro 96, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), settembre 2006, p. 36


Scarsella, M.: Apogonidi, il fascino discreto di re, pigiami e cardinali, "Il mio Acquario" n.ro 108, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), settembre 2007, p. 38


Spada, E.: Mangrovie in acquario, moda passeggera o realtà consolidata?, "Il mio Acquario" n.ro 118, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), luglio 2008, p. 16

mercoledì 27 gennaio 2010

Gli adattamenti degli animali alla vita in acqua salmastra - Seconda parte

Regolazione dei liquidi interni: le straordinarie capacità degli animali d’acqua salmastra


Gli animali d’acqua salmastra, sorprendentemente, sono in grado di adottare strategie miste, che consentono loro di sopravvivere in ambienti a salinità variabile.

Quando si trovano in un mezzo più concentrato rispetto al loro corpo, i pesci d’estuario bevono acqua di mare, e i reni, le cellule a cloruri delle branchie e l’intestino conservano acqua. Quando passano all’acqua dolce, gli stessi animali cessano di bere, i reni iniziano a produrre grosse quantità di urina diluita e le cellule a cloruri delle branchie a pompare attivamente ioni essenziali nel sangue. Tutto ciò è ancora più sorprendente se si pensa al costo energetico che l’assunzione di entrambe le strategie comporta.


Analogamente, gli invertebrati d’estuario riescono a fronteggiare egregiamente il passaggio da un mezzo più diluito ad uno più concentrato e viceversa, essendo capaci di variare la propria fisiologia. A queste strategie appunto fisiologiche se ne aggiungono però anche altre di tipo comportamentale: per esempio alcuni invertebrati, non sopportando la variazione di salinità del mezzo esterno, si rintanano in gallerie nel fango quando l’acqua dolce invade il loro ambiente durante la bassa marea. Contemporaneamente, interrompono la ventilazione branchiale. L’acqua salata più densa di quella dolce, si stratifica sul fondo, e filtra nella tana, consentendo a questi animali di mantenersi in un mezzo “marino”.

Altri invertebrati si sono semplicemente svincolati dall’acqua, diventando più o meno terrestri. Per esempio, certi paguri (famiglia Cenobitidi) e granchi (famiglia Gecarcinidi) che popolano i mangrovieti vivono costantemente fuori dall’acqua, entrandovi solo per mutare o per bere. Ovviamente questo ha richiesto l’evoluzione di altri adattamenti, per evitare l’essiccamento all’aria del corpo e delle branchie: una cuticola esterna più spessa, un metabolismo rallentato, la modificazione della camera branchiale in un rudimentale polmone intensamente vascolarizzato.

BIBLIOGRAFIA


Mitchell, L.G., Mutchmor, J. Dolphin, W.D., ZOOLOGIA, ed. Zanichelli.


AA.VV
., ENCICLOPEDIA DEGLI ANIMALI, vol. 11, National Geographic Society.

Gli adattamenti degli animali alla vita in acqua salmastra- Prima parte

La costante instabilità degli estuari influenza fortemente le forme di vita in essi presenti, favorendo la selezione e la differenziazione di entità euriecie, capaci di resistere alle ampie variazioni delle condizioni ambientali. In particolare, gli organismi degli estuari sono eurialini (adattabili ad un ampio range di salinità).

Regolazione dei liquidi interni: principi generali

Il corpo di un animale, sia esso acquatico oppure terrestre, per funzionare correttamente deve mantenere un certo equilibrio interno, definito omeostasi. Per consentire il corretto svolgimento delle principali funzioni cellulari, è infatti necessario che l’ambiente intracellulare presenti determinate caratteristiche: un pH costante (i cui valori ottimali possono comunque essere diversi da specie a specie), un preciso contenuto ionico, un preciso rapporto qualitativo e quantitativo tra questi e quelli contenuti nel liquido extracellulare (ambiente esterno). Per consentire ciò, gli animali hanno evoluto precisi meccanismi di osmoregolazione, con i quali si mantengono in equilibrio rispetto all’esterno.

Limitatamente agli organismi acquatici, il diverso tipo di mezzo esterno (acqua dolce oppure acqua salata) influenza differentemente i liquidi interni. Se la concentrazione salina dei liquidi interni di un animale è minore di quella dell’ambiente esterno, si dice che questo è iposmotico rispetto all’ambiente. Viceversa, se il contenuto salino dei liquidi interni di un animale è maggiore di quello dell’ambiente esterno, si dice che questo è iperosmotico rispetto all’ambiente. Se invece non c’è differenza tra le concentrazioni saline, il liquido interno è isosmotico rispetto a quello esterno.

Per il principio dell’osmosi, l’acqua tende a passare dall’ambiente a minor concentrazione a quello a maggior concentrazione, fino al raggiungimento dell’equilibrio tra le due concentrazioni: pertanto, a seconda del rapporto esistente tra il liquido interno e quello esterno (iso-,ipo- oppure iperosmotico) gli animali dovranno fronteggiare problemi diversi.

Un vertebrato d’acqua salata è sempre iposmotico rispetto al mare circostante (è il caso di tutti i pesci ossei, o osteitti, marini, nei quali la concentrazione salina corporea è circa un terzo di quella del mare); per il principio dell’osmosi, l’acqua tende a diffondere all’esterno, abbandonando i liquidi interni. Un pesce in questa situazione rischia la morte per disidratazione. Per scongiurare questo pericolo, i pesci hanno evoluto specifici meccanismi di osmoregolazione. Gli osteitti marini tendono a bere molta acqua di mare per compensare la perdita interna; inoltre, i reni emettono urine molto concentrate, limitando al massimo la perdita di acqua. Così facendo, però, i pesci ingeriscono anche molti sali in eccesso che devono essere espulsi. Non dai reni, poiché i reni producono poca urina, bensì da apposite cellule di escrezione degli ioni cloruro, localizzate nelle branchie. Anche l’apparato digerente è in grado di concentrare alcuni sali nelle feci.

I condroitti (o pesci cartilaginei) marini, come le razze e gli squali, hanno una concentrazione salina nei liquidi interni pari alla meta di quella del mare. Anche essi, quindi, tendono a disidratarsi, ma reagiscono in un modo del tutto peculiare: essi conservano i prodotti di rifiuto dei reni (principalmente urea) nei liquidi organici. Questo fa si che i liquidi interni raggiungano concentrazioni persino leggermente superiori rispetto a quelle del mare, che per osmosi richiamano acqua, liberando i condroitti dalla necessità di bere acqua salata. Eventuali sali in eccesso vengono espulsi da una ghiandola rettale specializzata.

Lo stesso meccanismo per aumentare la concentrazione salina dei liquidi interni è adottato anche dall’unico anfibio che regolarmente vive in acqua salmastra, la rana cancrivora (Rana cancrivora), e da una tartaruga d’acqua salmastra (Malaclemys terrapin).

Un vertebrato d’acqua dolce (fondamentalmente un pesce) è sempre iperosmotico rispetto al mezzo esterno; per questo motivo tende continuamente ad assorbire acqua e a perdere sali tramite diffusione. Per evitare danni all’organismo, questi animali bevono molto poco e possiedono reni molto efficienti, che emettono grosse quantità di urina diluita (in pratica acqua) in grado di bilanciare l’alta quantità di acqua assimilata dall’esterno. In aggiunta, i pesci d’acqua dolce possiedono cellule assorbenti cloruro nelle branchie, che recuperano dall’esterni i sali perduti con le copiose urine. Anche il rene è anche in grado di riassorbire ioni utili (in particolare sodio e potassio) dalle urine, e l’apparato digerente dagli alimenti.

Gli invertebrati acquatici hanno evoluto strategie differenti soprattutto quelli marini. Molti di essi sono infatti osmoconformisti, ovvero rimangono isosmotici rispetto al mezzo esterno se questo non varia, non perdendo né assorbendo acqua. In presenza di piccole variazioni essi perdono acqua (se l’ambiente esterno diventa più concentrato) oppure la acquistano (se l’ambiente esterno diventa più diluito). Nei casi più estremi di osmoconformismo, l’esposizione dell’animale ad acqua marina diluita causa un rigonfiamento abnorme delle cellule, con conseguente scoppio delle stesse e morte dell’organismo. Esistono comunque anche ossiconformisti eurialini, capaci di regolare la concentrazione interna di soluti per rendersi isosmotici con il mezzo esterno.

Gli invertebrati dulciacquicoli invece sono sempre osmoregolatori: i molluschi mantengono basse le concentrazioni di soluti nei liquidi extracellulari, abbassando il gradiente osmotico tra questi e il mezzo esterno. I crostacei possiedono un esoscheletro impermeabile all’acqua, che limita le superfici di entrata della stessa.

In aggiunta a questi meccanismi specifici, tutti gli invertebrati dulciacquicoli sono capaci di pompare all’esterno l’acqua in eccesso e di assorbire selettivamente ioni dall’acqua esterna per convogliarli nel proprio corpo.


(Continua)


BIBLIOGRAFIA

Mitchell, L.G., Mutchmor, J. Dolphin, W.D., ZOOLOGIA, ed. Zanichelli.

AA.VV., ENCICLOPEDIA DEGLI ANIMALI, vol. 11, National Geographic Society.


Gli estuari salmastri

Un ambiente acquatico può essere definito salmastro quando la sua salinità assume valori intermedi tra quelli del mare (in media 35 g/l, con punte di 39-40 g/l in bacini chiusi come il Mediterraneo e il mar Rosso) e quelli dell’acqua dolce. In genere, inoltre, la salinità non si mantiene costante nel tempo, variando sia giornalmente (se l’ambiente in questione è influenzato dalle maree) che stagionalmente, in relazione alla temperatura dell’aria (e alla conseguente evaporazione dell’acqua) e all’apporto idrico dovuto alle piogge.

Il tratto terminale di un corso di acqua dolce, fino al suo sbocco nel mare, rappresenta un ambiente salmastro tipico, di grande interesse biologico e acquariofilo: l’estuario, in cui acqua dolce e acqua salata si incontrano. La struttura tipica dell’estuario è il delta, ovvero una miriade di canali secondari e di bracci morti con acque ferme, generati dalla frammentazione del corso principale e separati da una moltitudine di isole e isolette più o meno allagate, formate dai sedimenti portati dal fiume e modellati dall’azione del mare.

Dal punto di vista della biodiversità, un delta è certamente molto ricco, sebbene non paragonabile per esempio a una barriera corallina: in esso si vengono infatti a creare molti microhabitat differenti, caratterizzati da diversa profondità dell’acqua, esposizione al Sole, velocità della corrente, con formazione di molte nicchie ecologiche diverse.

Scorcio del delta del po

La struttura "classica" di un delta


Seguendo la classificazione di Coleman e Wright (1971), è possibile dividere il delta in diverse zone fisiografiche. La zona più a monte, definita piano deltaico superiore, è formata dal corso d'acqua e dalle terre circostanti. Non è influenzata dalle maree, ma può essere influenzata dalle precipitazioni: periodicamente il fiume può straripare e allagare il territorio adiacente, andando a costituire una zona umida.

La zona immediatamente più a valle, definita piano deltaico inferiore, è compresa tra il livello dell'alta marea e quello della bassa marea. E’ una zona fortemente influenzata dai fenomeni costieri. Come si vede nel disegno, spesso alcuni tratti del piano deltaico inferiore si presentano morenti, ovvero in via di prosciugamento; è un fenomeno del tutto naturale, dovuto al continuo apporto di sedimenti da parte del fiume che finisce col riempirne il let

to. Il fiume trova comunque altre vie di sbocco, e pertanto è sempre presente anche una zona attiva.


Il delta prosegue anche oltre, in una zona subacquea definita appunto piano deltaico subacqueo; la parte più vicina alla costa, il prodelta, presenta di solito un fondo costituito da argilla e limo, mentre la parte più prossima al mare, il fronte del delta, presenta un fondo di limo e sabbia.

Distribuzione mondiale dei delta più importanti

Come accennato in apertura, a seconda dell’apporto di sedimenti portati dal fiume e del moto ondoso, nonché dell'azione delle maree, la struttura del delta può in realtà modellarsi in molti modi diversi. Sarebbe forse più corretto dire, quindi, che ciascun estuario è un ambiente caratteristico e unico, poiché, di volta in volta, variano gli apporti di acqua dolce e di acqua marina, nonché il mescolamento dei due tipi di acqua, dovuto alla conformazione del bacino idrografico. Proprio a causa dell’estrema eterogeneità di questi ambienti, diffusi ad ogni latitudine, in una presentazione generale come questa è praticamente impossibile fornire una descrizione dettagliata della fauna, della flora e dei principali parametri fisico-chimici dell’acqua. Mi limiterò a illustrare alcune caratteristiche importanti.


L’acqua, a causa dei sedimenti trasportati, allo sbocco in mare è generalmente meno limpida rispetto a quella del mare stesso, anzi in alcuni casi è assai torbida, so

prattutto nel caso di fiumi planiziali di notevole estensione. Possono abbondare i rami sommersi, trasportanti sul posto dalla corrente oppure provenienti dalla vegetazione circostante, se presente. In questo caso, potrebbe essere presente anche uno strato di foglie morte più o meno spesso.

Le maree, oltre a contribuire al modellamento del delta, influenzano anche le caratteristiche dell'acqua: con l’alta marea, si assiste alla risalita verso monte di acqua salata, che, a causa della maggiore densità rispetto all’acqua dolce, si stratifica al di sotto di essa. Il risultato è la formazione di un cuneo salino, che può anche persistere a lungo in assenza di fenomeni evidenti di mescolamento delle acque; pertanto, i principali parametri chimico fisici dell’acqua possono variare, in maniera anche considerevole e rapida. Per esempio, una raccolta d’ac

qua pressoché dolce può all’improvviso trasformarsi in una raccolta di acqua marina.


l flusso dei sedimenti arricchisce l’acqua di nutrienti inorganici (molti minerali ottenuti dal dilavamento delle rocce e del suolo lungo le sponde, come ferro, manganese, rame) e organici (soprattutto composti dell’azoto, dello zolfo e del fosforo, generalmente di origine biologica, ma anche di origine antropica nel caso di acque soggette a scarichi fognari o agricoli); per questo motivo, e grazie anche alla profondità relativamente ridotta dell’acqua, che permette alla luce solare di penetrarvi notevolmente, la componente planctonica vegetale (fitoplancton) può essere molto abbondante, andando a costituire una cospicua riserva alimentare per lo zooplancton (plancton animale, ad esempio copepodi), a sua volta utilizzato come cibo da molti piccoli invertebrati e pesci.

Naturalmente questa non è una regola generale: in certe

situazioni di acqua perennemente torbida oppure fortemente ombreggiata dalla vegetazione aerea, il fitoplancton stenterà a svilupparsi, e di conseguenza tutta la rete trofica risulterà meno ricca.

In condizioni ambientali particolarmente favorevoli il fitoplancton può andare incontro ad una proliferazione rapida e abbondante, paragonabile ad una vera e propria esplosione demografica; questo fenomeno, definito fioritura (in inglese algal bloom), nei climi temperati tende ad essere eclatante soprattutto nella stagione primaverile-estiva.

Se molto intensa, comunque, la fioritura rappresenta una anomalia, tanto che gli altri organismi possono perfino morire, uccisi dallo scadimento generale dell'ambiente o dalle biotossine prodotte proprio da certe specie planctoniche. Solitamente una simile situazione si instaura in acque perturbate dalle attività umane, ad esempio sottoposte a scarichi intensi di acque reflue agricole, ricche di composti che fungono da veri e propri fertilizzanti.

Fioritura algale nella laguna di Orielton (Australia), 1994


In condizioni naturali, la ricchezza nutritiva attira molti animali, alcuni erbivori, altri predatori, lungo tutta la catena alimentare. In particolare, molti pesci e invertebrati utilizzano le foci come sito riproduttivo o come stazione di foraggiamento; tra queste, oltre a specie esclusive di tali ambienti, sono presenti anche specie marine o dulciacquicole particolarmente eurialine.

Molto abbondanti anche gli uccelli, sia stanziali che migratori.


BIBLIOGRAFIA

Coleman, J.M., and Wright, L.D., 1971, Analysis of major river systems and their deltas, procedures and rationale, with two examples: Louisiana State Univer., Coastal Studies Inst. Tech. Rept. 95, 125 p.

BIBLIOGRAFIA ON-LINE

Bufo, R.: Gli ambienti acquatici: gli estuari (articolo apparso su acquariofilia.it, visionabile cliccando qui)

FOTO

www.atlanteparchi.it (delta del Po);

http://w3.salemstate.edu/~lhanson/gls214/gls214_deltas.html (schema del delta e distribuzione dei maggiori delta);

http://soer.justice.tas.gov.au (fioritura algale).

martedì 26 gennaio 2010

L'illuminazione ideale di un acquario salmastro

Quali sono le tipologie di illuminazione migliori per una vasca salmastra? Lampade sospese HQI, neon T8, neon T5, plafonierine sospese al neon o con lampade compatte ad alta resa, ormai il mercato è ricco di offerte.
Diciamo subito che una risposta univoca a questa domanda non esiste, dal momento che molto dipende dal tipo di ambiente che si desidera ricreare in acquario. Vediamo comunque di fare alcune considerazioni generali che possano tornarci utili. Da escludere sono le lampade HQI normalmente utilizzate in acquariofilia marina; sono eccessivamente luminose, ed emettono un calore tale da bruciare i germogli delle piante semiemerse (mangrovie per esempio). Bisogna infatti ricordare che la maggior parte degli ambienti salmastri è caratterizzata da acqua torbida, a causa dell'alta concentrazione di detriti in sospensione. Per questo motivi, sia gli animali che le piante sono decisamente sciafili, cioè piuttosto intolleranti verso una forte illuminazione.
Tutti i restanti tipi di illuminazione sono adatti all'acquario salmastro. Se si opta per un impianto ai neon, lo spettro "ideale" dovrebbe essere costituito da 1-2 tubi daylight (5000-6000°K) e 1-2 tubi 50/50 (attinico/10000°K). Ovviamente molto dipende anche dalle dimensioni della vasca a disposizione; in acquari piccoli diventa difficile poter garantire una simile dotazione, e si potrà tranquillamente fare ricorso ad un neon daylight o a una lampada compatta avente la stessa temperatura di colore. Nelle mie vasche più piccole (30 litri) ho usato con successo plafonierine sospese con piccoli neon da 6500°K, a luce bianca, mentre in vasche più grandi (50 litri) può andare bene una plafoniera a T5 con due tubi a luce bianca da 6500°C, facendo a meno dei neon 50/50.

BIBLIOGRAFIA

A cura della redazione:
Il mangrovieto al confine tra il mare e le acque dolci, "Il mio Acquario" n.ro 89, Sprea Editore, Cernusco sul Naviglio (Mi), febbraio 2006, pp. 20-27.

lunedì 25 gennaio 2010

La vasca ideale per un acquario salmastro

La scelta del tipo di vasca dipende fondamentalmente dallo spazio a disposizione e, ovviamente, dalle possibilità economiche. Non è mia intenzione consigliare una vasca di serie da una artigianale, oppure una vasca di una marca prestigiosa piuttosto che una di fascia più bassa. L'importante è, secondo me, optare per vasche di qualità, la "griffe" non conta. Intendo però dare qualche piccolo consiglio su quelle che sono, secondo me, le vasche "ideali".

Partiamo dalla capienza: sicuramente non sotto i 30 litri netti. Vasche più piccole, infatti, possono andare bene per larve o avannotti, ma si rivelano largamente insufficienti per pesci adulti, dal momento che la maggior parte dei pesci salmastri reperibili (ad eccezione dei killi) raggiunge taglie definitive tali da rendere consigliabili acquari più grandi per la maggior parte delle specie, diciamo 40-50 litri netti. Quindi, 30 litri per le specie più piccole e statiche, 40-50 litri e oltre per le altre.

Passiamo alla forma: bandite tutte le novità recenti più stravaganti (e improbabili). Niente vasche "a boccia", niente vasche "da parete", niente vasche cilindriche. In commercio si trovano modelli anche piuttosto grandi (i 30 litri netti di cui sopra), ma si tratta di soluzioni ideali magari per allevare gamberetti o altri piccoli animali, sicuramente però non ottimali per una vasca salmastra che si rispetti. La forma ideale è quella a parallelepipedo classica, magari con le angolature smussate per migliorare la circolazione dell'acqua all'interno. Anche la forma cubica può andare bene, ma solo se si allevano pesci poco attivi o dal nuoto debole.
Tornando per un attimo sulla forma migliore (il già citato parallelepipedo), mi permetto di aggiungere un particolare: molti ambienti salmastri sono rappresentati da raccolte d'acqua poco profonde, pertanto le dimensioni da privilegiare sono secondo me costituite dalla lunghezza e dalla larghezza. Molte specie infatti vivono a stretto contatto con il fondo, oppure prossime alla superficie. Per questi organismi conta molto l'area, di fondo o di superficie, a disposizione, piuttosto che la profondità dell'acqua. Nella scelta di una vasca di serie (la realizzazione artigianale non pone limitaazioni in questo senso) io mi orienterei su modelli che, a parità di litraggio, privilegiano la lunghezza e la larghezza piuttosto che l'altezza dei cristalli.

Vasca aperta o chiusa? Qui entra in gioco la specie (o le specie) che si intende allevare. Sicuramente una vasca aperta, magari allestita a paludario, con le piante che emergono oltre la superficie, è il massimo che si possa ottenere in termini di effetto scenografico e estetico. Purtroppo però, molti pesci salmastri sono anche ottimi saltatori, e in vasche aperte rischierebbero continuamente di cadere sul pavimento se dovessero per qualche motivo compiere balzi fuori dall'acqua. Molti invertebrati poi sono anche ottimi scalatori, e anch'essi rischierebbero di evadere loro malgrado da una vasca aperta, finendo sul pavimento di casa. Per questo motivo, la vasca aperta è una opzione realizzabile sono se si ha a che fare con pesci e invertebrati sicuramente a prova di fuga, negli altri casi una vasca classica con coperchio in plastica o vetro è senz'altro migliore. Anche nelle ambientazioni "paludario" è consigliabile mantenere le èiante emergenti all'interno dei confini dell'acquario (magari tenendo l'acqua più bassa), coprendo tutto con una rete o un vetro. Molti degli animali "anfibi" adatti al salmastro sono infatti capaci di scappare molto facilmente, i perioftalmi addirittura scalano i vetri!

venerdì 22 gennaio 2010

Preparare l'acqua salmastra ideale

Per preparare l'acqua salmastra ideale per il tipo di ambiente che vogliamo riprodurre in vasca, è fondamentale partire da acqua pura di osmosi, acquistata dal negoziante oppure preparata in casa tramite gli appositi impianti a osmosi inversa. All'interno della quantità di acqua necessaria (per il primo riempimento, oppure per i successivi cambi parziali) si scioglierà il giusto quantitativo di sale. Sebbene su alcuni testi consiglino ancora di mischiare direttametne l'acqua di osmosi con l'acqua marina sitentica, ritengo che sia molto più semplice sciogliere direttamente nell'acqua pura il quantitativo di sale a" misura" per le nostre esigenze.E qui è necessaria un'altra precisazione: nella letteratura più datata si consiglia, anche per i pesci salmastri più robusti come i Molly, di utilizzare del semplice sale da cucina (NaCl). Questo non mi trova assolutamente d'accordo, dal momento che secondo me è molto più consigliabile il sale marino sintetico in vendita per gli acquari marini, la cui formula è senz'altro più completa e bilanciata per le esigenze degli organismi acquatici.

Sebbene gli organismi salmastri siano molto più
tolleranti di quelli marini alle variazioni anche brusche della densità, non si può certo sciogliere a casaccio un certo quantitativo di sale, ma è necessario adoperare solo la quantità necessaria. Per poter misurare la densità dell'acqua da noi preparata, e stabilire se sia adatta o meno alle nostre esigenze, si trovano in commercio diversi strumenti.

- Densimetri in vetro a bulbo: esternamente somigliano a dei grossi termometri. Sono i densimetri più comuni e tra i più economici in commercio; in pratica si immergono in acqua e, a seconda della densità dell'acqua stessa, andranno più o meno a fondo, segnalando, tramite una apposita scala graduata presente sul bulbo, la densità. E' fondamentale sottolineare che il valore segnalato dallo strumento non rappresenta la densità reale, bensì la cosiddetta lettura del densimetro, la quale deve essere tarata. Infatti, la densità è una grandezza dipendente dalla temperatura, dal momento che la stessa quantità di sale disciolta in due volumi uguali di acqua a diversa temperatura determina valori di densità differenti.
Di solito i densimetri in vetro sono tarati dal costruttore a 25°C; poiché però non sempre la temperatura dell'acqua dell'acquario corrisponde a questo valore, sono anche dotati di un temometro interno per leggere la temperatura della vasca, che consente di risalire alla densità reale. Se la temperatura misurata dal densimetro è la stessa della temperatura di taratura (appunto 25°C), allora la lettura del densimetro corrisponde alla densità reale. Se invece (come più spesso succede) i due valori non corrispondono, allora è necessario procedere con una correzione del dato ottenuto. La correzione si può fare anche calcolando a mano, ma per fortuna sono disponibili on-line numerosi programmi free che consentono di ottenere rapidamente il dato utile. Per esempio io uso "conversione densimetro".
La manutenzione di questi strumenti si effettua lavandoli dopo ogni utilizzo con acqua e aceto, o tramite strofinatura con uno spicchio di limone.
- Densimetri a lancetta: strumenti, in genere in plastica, strutturati in modo tale che, immergendoli in acqua, una lancetta indica la densità, e in alcuni modelli anche il peso specifico a 25°C. Secondo alcuni appassionati di acquariofilia marina però, questi strumenti sono molto spesso particolarmente inaccurati (misurano cioè un valore troppo diverso da quello reale), e subito dopo l'acquisto andrebbero tarati confrontando il dato letto con quello ottenuto da strumenti "sicuri". Per questi motivi non ne consiglio l'acquisto.
La manutenzione si effettua al solito lavandoli con acqua e aceto.
- Rifrattometri: strumenti più sofisticati, che sfruttano fenomeni ottici per determinare l'indice di rifrazione dell'acqua, e le proprietà fisiche direttametne correlate all'indice di rifrazione, come appunto la salinità. Necessitano di una taratura con acqua bidistillata dopo aver portato alla stessa temperatura sia lo strumento che l'acqua. Sono sicuramente strumenti molto accurati, la scelta migliore se si vuole uno strumento duraturo ed efficiente; hanno però il "difetto" di essere piuttosto costosi (dai 50 euro in su), e forse più indicati per l'acquariofilia marina, dove effettivamente la salinità stabile è un fattore estremamente importante.
Personalmente, ho sempre utilizzato densimetri in vetro a bulbo, trovandomi abbastanza bene, anche perchè gli organismi salmastri sono meno sensibili di quelli marini a oscillazioni della densità. Un buon densimetro di vetro, scelto magari tra quelli un po' più costosi evitando di risparmiare ad ogni costo, può rappresentare un buon compromesso per una vasca salmastra, almeno secondo me.

NOTA

I sali marini sintetici sono particolarmente irritanti e aggressivi verso le mucose e l'epidermide degli organismi acquatici, fino a quando non si sono sciolti del tutto in acqua. Per questo motivo, analogamente a quanto si fa in acquariofilia marina, consiglio fortemente di preparare l'acqua salmastra almeno 48 ore prima del suo effettivo utilizzo, smuovendo fortemente la miscela con un aeratore per tutto il tempo al fine di assicurare la corretta dissoluzione dei sali.

BIBLIOGRAFIA ON-LINE

Misurare la salinità, la densità, domande sul sale (dal forum Aquaportal)